Da qualche anno a questa parte sono in corso due progetti
editoriali molto interessanti: the Jane Austen Project e il Shakespeare
Project. L’idea è di riscrivere alcune opere classiche in chiave moderna,
affidando la nuova creazione a autori di fama mondiale.
Uno di questi è Howard Jacobson, vincitore del Man Booker
Prize nel 2010, cui è stata affidata l’opera Il mercante di Venezia.
La trama è arcinota, coma quasi tutte le opere di
Shakespeare, e racconta la storia del veneziano Antonio che, per aiutare l’amico
Bassanio a conquistare la bella Porzia, accetta di fare da garante presso l’ebreo
Shylock, il quale stabilisce che, in caso di mancato pagamento, potrà prendere
da Antonio una libbra di carne, più vicino possibile al cuore.
Jacobson ripercorre questo canovaccio e ricrea l’atmosfera
dell’opera teatrale che oscilla continuamente tra dramma e commedia. I personaggi,
tranne il protagonista e la sua famiglia, sembrano uscire dal XVI secolo per
assumere connotati moderni: Antonio diventa D’Anton, modaiolo mercante d’arte;
Porzia è Purebelle, detta Plury, eccentrica ereditiera; Graziano è Gratan,
giocare di calcio non molto intelligente; e Bassanio diventa il meccanio Barney.
Un solo personaggio resta se stesso e appare come un
fantasma in un cimitero. È Shylock che, non si sa bene per quale gioco magico,
ancora vive tra noi.
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Shylock interpretato al cinema da Al Pacino |
Lo humor pervade l’opera, ora con ironia, ora con sarcasmo,
mentre i personaggi risultano tutti piuttosto tristi. É il tragicomico infatti
a collegare tutte le vicende da cui emerge quella principale del protagonista,
Strulovitch, che non accetta di dare la
figlia sedicenne in sposa a un non-ebreo.
Ecco i due temi veri del romanzo, di cui Strulovitch e Shylock parleranno lungo molte
pagine: l’essere padri, l’essere ebrei.
L’opera si presta in effetti
ad approfondire queste tematiche che lo stesso Shakespeare aveva
affrontato. Al tempo della stesura del Mercante di Venezia, l’Inghilterra era
terra proibita per gli ebrei che ne erano stati banditi alla fine del XIII
secolo. Shakespeare con ogni probabilità non ebbe mai modo di conoscere un
ebreo ma conosceva bene i pregiudizi ed era pronto a smascherarli. Sue le
famose parole:
“Non ha
occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni?
Non si
nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche
lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall'estate
e
dall'inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi?
Se ci
fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?”
(Shylock: atto III, scena I)
Jacobson sembra proseguire questa umanizzazione del
personaggio dell’ebreo che da rancoroso e cinico si evolverà nel romanzo fino a
decantare un mologo sulla pietà:
“e allora le dico:
sia un esempio di clemenza; non conceda nell’aspettativa di ricevere
a sua
volta clemenza – perchè la clemenza non è una transazione – ma la conceda
per ciò che è di per sé. Mostri pietà per amore di pietà e non perchè la sua anima
ne
tragga vantaggio. [...] la pietà non è compromessa dal profitto o dai
meriti, non
provvede all’amore per sé, non sostituisce il perdono, ma
costituisce la propria
modesta dimora ovunque ci sia bisogno di lei...”
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Shakespeare, "non fu l'uomo di un'epoca, ma di tutti i tempi". Ben Jonson |
Questo non è un romanzo semplice, all’inizio mi è parso
anche un po’ confuso, ma è un romanzo che ha grandi meriti letterari,
soprattutto per l’intrigante ingegnosità con cui i punti salienti dell’opera
originale vengono rielaborati e proposti (i celebri scrigni che diventano
automobili, geniale!).
Conoscere la commedia di Shakespeare è certamente di
aiuto nella lettura di Il mio nome è Shylock, ma non strettamente necessaria. Jacobson
riesce a rendere lo spirito de Il mercante di Venezia e anche a porgere al
lettore molti spunti di riflessione, il tutto con una scrittura precisa e
fluida, soprattutto nei dialoghi.
Anche Strulovitch, come Shylock, alla fine pretenderà il suo pezzo di carne
e anche Strulovitch verrà beffato, comicamente però, e accetterà la sconfitta.